Questo libro è nato dall’esigenza di approfondire l’argomento della fobia scolastica, un problema di cui sembra che in Italia non si discuta abbastanza, nonostante susciti molte ansie nelle famiglie e preoccupi gli insegnanti. Infatti tale fobia incide in larga misura sul fenomeno dell’abbandono scolastico ed al conseguente fenomeno dei NEET (Not Engaged in Education, Employ or Training).

Il termine fobia scolastica è stato coniato nel 1941 dalla psichiatra americana Adelaide Johnson che notò le differenze fra due gruppi di minori: uno composto da bambini che mostravano reazioni di ansia e di panico quando si cercava di forzarli a rientrare a scuola dopo uno strenuo rifiuto; un altro gruppo costituito invece da bambini che semplicemente volevano marinare la scuola. La Johnson osservò che nel gruppo dei bambini fobici l’ansia da separazione aveva un ruolo solo all’inizio, poiché la patologia vera e propria insorge nella pubertà o nell’adolescenza ed ha a che fare con meccanismi più complessi di tipo depressivo, nevrotico e, raramente, psicotico. Nel 2010 la psichiatra francese Nicole Catheline, proseguendo gli studi della Johnson, precisa che la fobia scolastica non vada considerata riduttivamente  una delle diverse variabili del disturbo d’ansia o della fobia sociale, come invece fa il DSM 5. Inserendo la fobia scolastica nel grande gruppo delle fobie sociali, le viene cioè tolta la sua fondamentale specificità. Infatti il disturbo è caratterizzato da manifestazioni psicopatologiche molto ampie, che interessano l’intera personalità e per questo dovrebbero essere trattate in modo più approfondito.

In Italia  l’unica disposizione legislativa per chi presenta tale forma fobica sembra essere il D.M. del 27/12/2012 per la didattica inclusiva, sulla scorta della legge 170/2010 per studenti con DSA. In Francia invece il fenomeno ha ricevuto grande attenzione ed è stato inserito nella CFTMEA (Classification Française des Troubles Mentaux de l’Enfant e de l’Adolescent). Le fobie scolastiche infatti sono classificate come “manifestazioni d’angoscia maggiore, spesso accompagnate da un fenomeno di panico legato alla frequenza scolastica e che impedisce la presenza a scuola nelle forme abituali”. Questa maggiore considerazione ha permesso l’attivazione di un sistema molto efficace d’intervento, che va dalla presa in carico dei ragazzi e delle loro famiglie con interventi di psicoterapia, fino ad arrivare al day hospital per arginare le forme di chiusura  ed isolamento in cui spesso si rifugiano coloro che sono affetti da tale fobia. E’ questo un aspetto molto importante, in quanto per qualsiasi altra fobia si può evitare il panico con opportune manovre in modo che la propria esistenza non ne venga danneggiata in modo irreparabile. Invece la fobia della scuola priva il ragazzo della possibilità di istruirsi ed allo stesso tempo lo conduce all’isolamento dal contesto sociale, rendendogli impossibile crescere insieme ad i suoi coetanei. Nel libro infatti si riportano alcune storie personali di ragazzi e ragazze che dopo aver mostrato i sintomi di questa fobia hanno abbandonato la scuola rifugiandosi nel mondo virtuale, dove hanno trovato conforto e gratificazione ma ricevendone una dipendenza da cui non è facile uscire.

Gli autori distinguono due manifestazioni principali della fobia della scuola, che hanno caratteristiche diverse e possono avere anche esiti differenti. Una riguarda l’infanzia e può comparire durante la scuola primaria o l’inizio della secondaria. In questo caso la causa è piuttosto chiara, cioè angosce da separazione, in particolare dalla madre, in bambini che si ritrovano ad affrontare nuove esperienze in ambienti extrafamiliari. Il terapeuta incontra meno difficoltà in questi casi perché si trova sì di fronte a delle crisi di ansia e attaccamento patogeno, con bambini che temono di essere abbandonati ed  hanno fantasie catastrofiche di morte riguardanti i genitori. Tuttavia rimane aperto e possibile  un processo evolutivo di emancipazione. La seconda manifestazione della fobia scolastica si verifica durante la pubertà e l’adolescenza con sintomi di una struttura psicopatologica che era rimasta latente ma che viene esplicitata nel passaggio da una scuola più “materna” ad una che richiede autonomia e responsabilità. Talvolta infatti si tratta di ragazzi con buone competenze scolastiche, ma al momento in cui impattano in frustrazioni causate da atteggiamenti severi da parte di alcuni insegnanti, oppure che arrivano dal gruppo dei pari, la fragilità narcisistica si manifesta nel crollo completo della loro identità. La cura quindi non può essere concentrata solo sul rientro in classe, bensì anche sulla ricostruzione di una personalità che altrimenti si lascia assorbire dal gratificante, ma isolante, mondo della realtà virtuale.

Nel libro si raccontano storie con esiti sia positivi che irrisolti, a dimostrare l’estrema difficoltà di trattare la fobia della scuola. Ci sono poi capitoli dedicati in modo specifico al ritiro nel mondo virtuale, che crea una dipendenza del tutto simile a quella del gioco d’azzardo. Vengono poi riportati i contributi che molti psicanalisti hanno dedicato alla fobia scolastica, definendola come una sindrome caratterizzata da un insieme di manifestazioni patologiche con cause plurime, ribadendo il concetto che l’approccio terapeutico deve riguardare l’intera personalità del soggetto per salvarlo dall’isolamento relazionale.

Un capitolo è dedicato ai docenti, che vengono suddivisi fra coloro che hanno un atteggiamento di “non ascolto” e coloro che invece hanno un “ascolto preoccupato” e che per questo possono avere un ruolo fondamentale nel percorso di cura dei ragazzi con fobia della scuola. Infine un capitolo sui loro genitori, che molto spesso riversano sui figli le loro preoccupazioni e talvolta rivelano aver vissuto situazioni molto simili durante la loro adolescenza. Si sottolinea inoltre l’importanza dello stile educativo. Se eccessivamente tollerante, espone la sensibilità narcisistica del figlio ad una ferita quando incontra un insegnante severo. Altre volte invece ci sono genitori troppo autoritari e limitanti che oscillano tra indulgenza e severità, esponendo ugualmente i figli ad un ambiente educativo patologico.

Per finire, gli autori ricordano che l’esito della terapia non coincide sempre col ritorno a scuola, ma l’importante è aiutare i ragazzi a superare le ragioni che hanno condotto alla  crisi globale della loro personalità.

 

Autrice: Dott.ssa Sara Amerini

Revisore: Dott. Stefano Cosi