Il termine “distanza” è diventato quasi una parola d’ordine da più di un anno a questa parte: ogni genere di relazione, dalle più intime alle più formali, ha assunto l’unico format della virtualità.
Anche l’ambito lavorativo ha risentito in maniera evidente delle restrizioni imposte dalla pandemia, con gli innegabili effetti negativi riportati soprattutto da determinati settori e professioni; tuttavia, sarebbe riduttivo liquidare la rivoluzione in corso come un totale fallimento.

Il libro “Smart working mind” fa un’attenta disamina dei repentini cambiamenti che ha subìto la nostra routine quotidiana e dei risvolti che, a lungo termine, ricadranno sulla stessa definizione di “lavoro” come finora lo abbiamo inteso; cambiamenti che alcune realtà più all’avanguardia avevano già implementato, ma che sono risultate ostiche in altri contesti. Ad esempio, il settore scolastico italiano si è ritrovato alquanto impreparato di fronte alla necessità di realizzare forme integrate di insegnamento-apprendimento, per non parlare delle professioni caratterizzate e fondate sul rapporto “vis a vis”.

Inoltre, i tempi ristrettissimi di passaggio da un assetto all’altro hanno provocato reazioni simil- traumatiche in molti di noi, richiedendo risorse di adattamento e resilienza non indifferenti.
Le “strategie e opportunità” di cui ci parlano gli autori fanno riferimento proprio a questo, alla possibilità di “fare di necessità virtù”.
Lo smart working, infatti, è diventato una realtà e come tale va conosciuta e analizzata, piuttosto che demonizzata a priori; ma il testo si focalizza soprattutto sulla mente del lavoratore e della lavoratrice agile, sull’evoluzione di tutta una struttura che sta dietro la nostra identità professionale.

Integrando il contributo delle neuroscienze riguardo al funzionamento di mente e cervello in modalità “business”, a quello della psicologia del lavoro, gli autori partono dalla definizione stessa di “lavoro agile” come modalità con un duplice obiettivo: aumentare la competitività dell’azienda e permettere la conciliazione di vita e lavoro per il dipendente; il prezzo di tale strategia sarà la caratteristica “assenza di precisi vincoli orari o spaziali”, con il conseguente doppio risvolto della flessibilità alternata alla indeterminatezza. Lavorare da casa, infatti, permetterà di occuparsi in parallelo delle esigenze domestiche e/o familiari con notevole risparmio di risorse, ma eliminerà anche la necessaria definizione di ruoli e spazi dedicati alla professione, per non parlare dei tempi di
lavoro dilatati in modo indefinito e delle continue richieste di nuove conoscenze e competenze.

Grazie al suo taglio pratico, il libro affronta una tematica complessa delineando anche le possibili traiettorie di intervento, sia dal punto di vista del dipendente sia da quello del datore di lavoro, auspicando una necessaria progettazione per obiettivi, fasi e cicli, senza dimenticare il necessario processo di recupero delle energie, il distacco psicologico dal contesto lavorativo evitando di incorrere nella cosiddetta “always-on culture” (doversi dimostrare continuamente “connessi”).

La mente umana, infatti, comprende 4 diverse categorie: cognizione (funzioni e processi di pensiero, dall’attenzione alla memoria), conazione (motivazione, volontà, libertà di scelta), emozione e relazione (o socialità); tutte queste componenti entrano in gioco quando ci approcciano al lavoro. Nel contesto specifico dello smart working, le nostre capacità attentive rischiano di risultare sovraccaricate e indebolite grazie al mito (falso) del “multitasking”. Possibili rimedi derivano dalla focalizzazione, dalla meditazione e dall’attento monitoraggio del tempo trascorso online. Riguardo alla conazione, bisogna evitare la tentazione del “lavoro tattico” (fare il minimo indispensabile rinunciando ad uno scopo ambizioso e sfidante), incrementando le capacità di lavorare in autonomia e le abilità decisionali, alimentando la propria naturale curiosità e creatività.

Riguardo alle emozioni, lo smart working può indurne di molto diverse, soprattutto quelle che accompagnano la risposta allo stress, con conseguente rischio di burnout. Un possibile rimedio sono le piccole pause ristoratrici, l’attività fisica e alcuni esercizi mentali; il tutto finalizzato a stabilire dei confini. Infine, la relazione: componente molto danneggiata dall’imposizione della distanza, con il conseguente rischio di isolamento, scarsa empatia e “perspective taking”; in questo caso dovremo gestire efficacemente i pochi indizi percettivi ai quali abbiamo accesso, sfruttando le potenzialità del mezzo tecnologico (ad esempio lavorando su un documento condiviso).

Bisogna ricordare che i rapporti mediati da tecnologie obbediscono a leggi diverse da quelli in presenza fisica e dunque vanno sfruttati al meglio. All’analisi delle componenti della “smart working mind”, segue la riflessione sulle quattro tipologie di resistenza al cambiamento evidenziate dagli autori: la ricerca di una routine, la rigidità cognitiva, la focalizzazione a breve termine e la reazione emotiva. Il cambiamento nelle organizzazioni è faticoso e pervasivo: influisce sugli individui, sullo svolgimento delle singole attività lavorative, nonché sul rapporto della dimensione lavorativa con quella privata; provoca dunque agitazione e incertezza.

Pertanto, il cambiamento va gestito, preparando gli attori coinvolti a ciò che accadrà.
Cambiare le modalità di lavoro, affinché sia data una rilevanza maggiore agli obiettivi che la persona raggiunge piuttosto che alla sua presenza fisica prevede anche un cambiamento culturale che non può avvenire in poco tempo. La situazione di crisi può, tuttavia, essere un punto di partenza per affrontare nuove sfide e cogliere nuove opportunità”.

 

Autrice: Dott.ssa Milena Ferraro

Revisora: Dott.ssa Sabrina Masetti