Perché abbiamo un corpo? A cosa ci serve e quando impariamo a conoscerlo davvero?  Questi gli interrogativi a cui il protagonista del libro di Pennac cerca di dare una risposta. Il titolo originale dell’opera è Journal d’un corps, ovvero Diario di un corpo.  Si tratta infatti del diario tenuto dal protagonista dall’adolescenza al momento della morte. La figlia Lison viene in possesso di questi scritti per volontà del padre, che vuole lasciarle la curiosa eredità del racconto sulle trasformazioni del proprio corpo, che lo accompagnano sia nella sua vicenda personale che in quella più ampia e universale del periodo storico fra gli anni ’30 ed il 2010.

Partendo dalle tavole anatomiche di Laorusse, con le quali l’amatissimo padre l’aveva iniziato alla conoscenza del corpo umano, il protagonista ne narra la storia dal punto di vista della fisicità più concreta, spicciola, raccontando spesso e volentieri episodi di una sessualità colta nella sua veste più naturale, cioè quella di dare piacere e successivamente dare inizio ad una nuova vita. Sul finale, un rapporto sessuale in tarda età è paragonato ad una resurrezione, un canto del cigno per dare l’addio alla vigoria del passato e rassegnarsi al declino della vecchiaia.

Altre volte il corpo è colto nell’espletare le sue funzioni escretorie, elementari ma altrettanto vitali. Pennac non ci risparmia nulla di quello che normalmente teniamo celato agli altri per pudore, per educazione. Eppure sono proprio queste funzioni basse, primordiali che ci accomunano rendendoci tutti uguali.

Il protagonista annota le sensazioni che prova nel rapportarsi non solo al suo corpo, ma anche a quello degli altri. La scoperta della propria fisicità avviene infatti attraverso il modo in cui l’adorata tata Violette da bambino lo lavava e lo accudiva quando era malato. Il ricordo dell’odore di mosto cotto che preparava solo per lui, il rumore del suo respiro pesante, la posizione del suo corpo dopo la morte improvvisa, abbandonato su una sedia pieghevole durante una gita al fiume. Di tutto questo il protagonista annota la risonanza con le sue viscere, che si agitano e si torcono di conseguenza. Arriva persino a dare un corpo ad un fratellino immaginario, giunto a fargli compagnia o più probabilmente a rendergli più sopportabile la convivenza con una madre fredda e poco incline al contatto fisico.

La moglie Mona, i figli Lison e Bruno, sono altri corpi attraverso i quali il protagonista intreccia sensazioni di tutti i tipi, dal piacere al disagio. Ci racconta dell’esaltante, soddisfacente e lunga vita sessuale con la moglie che costituisce un tutt’uno inscindibile con l’amore profondo che ha per lei. Descrive il momento in cui per la prima volta prende in braccio i suoi figli e di quella meravigliosa sensazione di completezza che i loro teneri “corpicini” lasciano impressa nelle sue braccia per sempre.

Le vicende del protagonista sono un monito per ricordarci che impariamo a conoscere il nostro corpo piano piano, che esso è un potente strumento di conoscenza della realtà circostante attraverso i sensi di cui siamo dotati e può diventare una corazza contro l’esterno. Ci rendiamo conto di quanta cura dovremmo avere per lui quando comincia a perdere colpi, a non funzionare più come in gioventù.

Intanto il tempo passa attraverso i corpi e li cambia profondamente, specie quando si incontrano le malattie che straziano volti, gonfiano addomi, deformano arti. E’ allora che sentiamo tutta la pesante presenza del nostro “contenitore” e proviamo un’impotenza che ci riporta a quando, da piccoli, dovevamo essere accuditi in tutto. Il cerchio si chiude anche per il protagonista, malato di leucemia e ormai consapevole che la convivenza terrena col suo corpo sta per concludersi. Il lungo addio che si compie è pieno di malinconici ricordi del passato, ma con la consapevolezza che si stia compiendo un processo naturale che tocca a tutti. Fino ad arrivare appunto alla perdita estrema del proprio involucro quando si muore. Il dolore immenso provato dal protagonista con la scomparsa improvvisa dell’adorato nipote Grégoire è la definitiva presa di coscienza che “i morti avevano avuto un corpo e ora non l’avevano più”.

 

Autrice: Dott.ssa Sara Amerini

Supervisore: Dott. Stefano Cosi