Le esigenze di distanziamento sociale connesse al contenimento del Covid-19 hanno avuto un forte impatto anche sull’organizzazione del lavoro. Il termine Smart Working o “lavoro agile” è ormai diventato di uso comune, rappresentando una nuova modalità di lavoro in un’epoca sempre più digitalizzata. Il lavoro a distanza può facilitare la conciliazione tra tempi di lavoro e vita privata ma, allo stesso tempo, se non vi è un equilibrio tra carico di lavoro ed esigenze familiari può rappresentare un vero e proprio ostacolo al benessere delle persone, soprattutto se parliamo di donne.

Per le donne è davvero “smart” lavorare da casa?

Vi sono opinioni contrastanti a riguardo; per alcune il lavoro da casa aiuta a conciliare famiglia ed impegni lavorativi mentre per altre è un ritorno al passato e un ostacolo all’avanzamento di carriera. Il lavoro a distanza potrebbe, infatti, contribuire a cristallizzare una divisione tradizionale dei ruoli all’interno delle famiglie, con effetti negativi sia in termini di benessere che di produttività.

Tra i vantaggi dello Smart Working vi è sicuramente la riduzione degli spostamenti, aspetto che consente di liberare tempo indirettamente legato al lavoro che può pertanto essere dedicato ad altre attività. Inoltre, almeno in via ipotetica, consente una maggiore flessibilità nella gestione delle attività lavorative e non lavorative, facilitandone l’organizzazione in un modo più consono alle esigenze individuali e familiari.  Tuttavia, senza un buon equilibrio le donne possono sperimentare una sensazione di doppia segregazione, quella di essere chiuse in una casa-ufficio o bloccate in una domesticità senza via di fuga. Basta un semplice “imprevisto” come un periodo di prolungata malattia di un figlio a rendere tutto più difficile e instabile. I tempi si diradano, diventa impossibile lavorare con lo stesso ritmo, rispettare le scadenze. Inoltre, se non è possibile contare sulla disponibilità di nonni o babysitter è necessario ricavare tempi di lavoro in momenti intermittenti, a volte notturni e questo aumenta la fatica e la difficoltà. In queste fasi si presenta un fare troppo domestico e la sensazione è quella di essere tagliate fuori, di essere totalmente nascoste e rese invisibili dall’immersione nel lavoro familiare.

Per questo è fondamentale inventare nuove strategie.

Conseguenze psicologiche dello Smart Working

Le alterazioni delle routine familiari, con le conseguenti difficoltà nel ritrovare un equilibrio tra vita personale e vita lavorativa sono fattori che incidono negativamente sulla salute mentale dei lavoratori, accrescendo sensazioni quali: senso di isolamento, ansia, perdita del senso del lavoro o del progetto. Avendo sempre lo strumento principale a disposizione, il proprio computer connesso ad internet, e trovandosi sempre nello stesso ambiente che funge da casa e da ufficio si finisce per non smettere mai davvero di lavorare se non per andare a dormire. Questo può portare inevitabilmente anche a sentire un senso di isolamento, amplificato soprattutto dalle condizioni in cui la pandemia ci ha portato. Stare a casa, lavorare da casa, non vedere persone per troppo tempo, non avere scambi se non tramite un computer amplifica questo senso di isolamento che non è affatto positivo per la salute della persona. In questo quadro a tratti può venir meno il senso del lavoro stesso o del progetto che si sta portando avanti. Perdere la bussola, non avere i colleghi accanto, non sapere con chi confrontarsi, se non a distanza, può portare chi lavora in questo modo a perdere il senso di ciò che sta facendo. Anche a livello emotivo le ripercussioni di tutto ciò possono essere tante e negative. La mancanza di rete sociale, di rapporto e interazione umana portano sicuramente il lavoratore a sentirsi solo proprio perché gli mancano degli “ammortizzatori emotivi” che invece l’ambiente dell’ufficio gli offriva. Si pensi anche solo al coffee break, un momento di pausa in cui si costruiscono rapporti tra colleghi, si scambiano opinioni, ci si confronta come è giusto che sia tra esseri umani.

Inevitabilmente tutto ciò ha comportato un aumento dei casi di ansia e depressione. Sembra evidente come un periodo di stress e solitudine come quello che stiamo vivendo possa portare i lavoratori da remoto a dover far fronte ad ulteriori problemi oltre quelli sanitari.

Chi vive da solo e lavora da casa è sicuramente più tranquillo dal punto di vista del contagio, ma mentalmente è un soggetto esposto a maggiori rischi rispetto agli altri proprio perché è isolato in un momento già di per sé delicato. Le persone di solito durante i periodi di paura e depressione tendono a ricercare proprio il contatto con gli altri per affrontare ansia e tristezza, tutto ciò che oggi a causa della pandemia non è possibile fare.

La depressione è il primo sintomo che contrariamente a quanto si possa pensare non interessa solo la sfera emotiva e l’umore, ma può interessare anche il corpo con mal di testa, disturbi del sonno, fatica cronica. Segnali questi che evidenziano come si possa facilmente incorrere nel rischio lavorativo di stress lavoro-correlato con disturbi di varia natura come quelli brevemente accennati e che in molti casi possono avere la stessa sintomatologia della cosiddetta sindrome da “Workalcholism” (“ubriachi da lavoro”), termine che deriva dall’unione delle parole “work” (lavoro) e “alcholism” (alcolismo) e si riferisce a persone la cui necessità di lavoro diventa così forte che può costituire un pericolo per la salute e per la sicurezza, o la sintomatologia della sindrome di “Work addiction” (letteralmente “dipendenza da lavoro”) che si differenza da altre dipendenze perché riguarda un’attività che richiede uno sforzo continuo finalizzato a fare un lavoro duro, in molti casi per guadagnare di più.

Sarà il lavoro del futuro?

Lo Smart Working potrebbe sicuramente ridurre il ricorso a forme di lavoro come il part-time, rimettendo le donne in corsa per l’assunzione di ruoli di maggiore responsabilità e più apicali, creando quindi le premesse per ridurre anche l’elevatissimo gap di genere nei ruoli chiave delle aziende. Per far si che ciò accada, lo Smart Working del futuro dovrà essere per scelta, libero e adottato in forma autentica: ovvero agile, flessibile e reversibile per poter rispondere sia ai bisogni delle persone sia alle esigenze delle aziende, portando vantaggi a entrambi e alla comunità in cui sono inseriti. Oltre a valorizzare lo strumento dello Smart Working come metodologia fondamentale per migliorare le possibilità per le lavoratrici di conciliare esigenze lavorative con esigenze connesse alla vita familiare, sarebbe altresì auspicabile contrastare ogni sorta di discriminazione di genere attraverso l’implementazione di apposite policy aziendali.

 

Autrice: Dott.ssa Desirée Bruni Tosi

Revisora: Dott.ssa Sabrina Masetti

 

Bibliografia:

https://www.lavoce.info/archives/72836/con-lo-smart-working-piu-carichi-di-lavoro-per-le-donne/

Di Montigny O., Rischio burnout. Per le donne lo smart working non deve diventare una prigione, in “Linkiesta”.